La posta del deserto

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Fu quando arrivammo nella zona di Aleppo che conobbi il postino.
Il postino si chiamava Yusuf Hassan e non si capiva da che paese venisse, sembrava un uccello antico, una gru ricurva dal collo lungo e ossuto, sembrava che la vita lo avesse consumato completamente. 
Aveva viaggiato per tutto il deserto, aveva attraversato le città sventrate dalla guerra e camminato da solo la notte sotto milioni di stelle in un buio più buio del buio, aveva vissuto la solitudine più assoluta e in quelle notti doveva avere intravisto anche il volto di Dio, ascoltato le sue parole sussurrate nel vento e nel rumore fresco dei corsi d’acqua che scorrevano come vermi in centinaia di insenature sotterranee.

La posta del deserto è qualcosa di diverso dalla posta tradizionale, l’ha detto Hassan Yusuf bevendo Raki e masticando qualcosa che mi ricordava uno scarabeo o delle mandorle essiccate. La posta del deserto è una rete clandestina paramilitare con ramificazioni nel mercato nero, nel traffico di armi e nei piani più alti e deviati e oscuri dei governi mondiali. 
A volte qualche postino viene catturato e ammazzato, a volte si scopre che è una spia di qualche paese di cui non riesci neanche a pronunciare il nome, a volte altri postini di altre organizzazioni ti tendono imboscate, ti uccidono o ti rubano la posta.
C’è una guerra tra postini del deserto, c’è una guerra tra tutte le organizzazioni postali che lavorano nella terra di nessuno, nelle zone di guerra, in quei luoghi dove non è rimasto più niente e la gente a un certo punto si trova a scrivere lettere con le lacrime agli occhi o con gli occhi secchi perché ha finito anche le lacrime, oppure serrando i pugni pieni di rabbia e di odio e di veleno, oppure poesie che non riesci nemmeno a urlare e allora le scrivi e le spedisci a qualcuno per calmarti, per urlare, o per farti ancora più male.

Che tipo di lettere trasporti, gli ho chiesto una notte mentre mangiavamo una zuppa di cereali che ci avevano preparato un gruppo di beduini in cambio di una bottiglia di benzina.
Lettere d’amore, ha risposto lui continuando a masticare. La sua voce era sottile e ruvida, come un sussurro che ti passa per le orecchie grattandotele dentro.
Di cosa vuoi che parli la gente? Guardati intorno, ha detto allungando il braccio come verso qualcosa che io non potevo vedere ma che nei suoi occhi bruciava come una cicatrice, ha sorriso di un sorriso che non capivo se era amaro o se nascondeva tutta la speranza dell'universo. 
La gente vuole parlare d’amore. Non c’è altro, non c’è altro oltre all’amore.

Lo Scoprione parlava poco, il negro albino danzava alla luce della luna che sembrava si stesse per schiantare sulla terra, io mi sentivo strano, lo stomaco in subbuglio, una strana eccitazione nel petto che a volte sembrava travolgermi come una marea, e non era stata la droga, era  una strana incertezza, una sensazione che mi saliva nel petto e che ributtavo giù deglutendo istintivamente come se stessi per vomitare o per urlare.

Amore, ho detto come se parlassi con me stesso. 
La parola ha risuonato come vibrasse nella terra, come vibrasse dentro ognuno di noi, ho guardato ancora il postino e mi sono immaginato quell’uomo camminare curvo con il suo sacco sulla schiena, attraversare le strade piene di carri armati carbonizzati, guardare i missili bruciare il cielo in certe notti orrende seguite da grida e ambulanze, annusare la polvere che si alza nelle città in quell’istante dove tutto diventa silenzioso e immenso, pagare dazi per attraversare i confini sotto lo sguardo spento dei guerriglieri sfiniti, raggiungere le montagne, scendere per le vallate in solitudini infinite. 
L’ho immaginato che camminava con i piedi che sanguinavano negli scarponi, schiacciato dal suo sacco di lettere pieno di lettere piene di parole d’amore.

Delle volte il postino recitava poesie da solo, mi ricordo la sua voce che risuonava melodica mentre cantava poesie italiane, spagnole, greche, francesi, poesie turche e inglesi, poesie in latino e in volgare, poesie in arabo e in persiano. Non scoprii mai dove le aveva imparate, non capii mai se le inventava o le sapeva a memoria. 
Il postino lo ammazzò un colpo di mortaio mentre raggiungevamo una zona controllata da una divisione impazzita dei S.A.S., ricordo che quella notte bevemmo vodka russa e giocammo ai dadi.
Ricordo che lo seppellii io, che gli coprii la faccia con la terra e che mentre gliela ricoprivo la sua faccia così strana e complicata mi sembrava che si potesse muovere, mi sembrava che da un momento all’altro avrebbe cominciato a recitare poesie.

Parte del sacco andò distrutta, l’altra parte la recuperai io, gli indirizzi si leggevano male e non riuscivo a tradurli, mi presi la responsabilità di quelle parole, le lessi tutte, una ad una, innamorandomi ad ogni parola, immaginando quegli amanti, immaginando quegli amori. 
A volte cercavo di trovare i veri destinatari, ne trovai uno in un villaggio vicino al confine Afghano, era morto qualche giorno prima, lasciai la lettera a suo padre e mentre gliela lasciavo ebbi la sensazione che se lo avessi toccato quell'uomo sarebbe andato in pezzi, come una statua di sabbia, cercai di non guardarlo negli occhi, abbassai la testa e mi allontani mentre un vento caldissimo soffiava sui tetti delle case e mi bruciava la faccia.
Altre volte le lasciavo dove qualcuno le potesse trovare, l’ho regalate e donne e a uomini, l’ho appiccicate sui muri delle città rase al suolo dalle bombe.
La notte che raggiungemmo una cittadina nei pressi di Kobane piantando la nostra tenda mi accorsi che eravamo finiti vicino ad una fossa comune. 
Vomitai, poi seppellimmo ogni corpo cercando di dargli un po’ di dignità, lo Scorpione non parlò per sei giorni, non ho mai capito perché proprio sei, perché non sette? 

Le ultime lettere le lasciai lì, ne misi una in ogni fossa, dopo fumammo crack e oppio e ci ubriacammo con un liquore bulgaro trovato in una casa abbandonata. 
Io continuai a vomitare per giorni, a volte sogno ancora le fosse, i corpi, i loro volti mezzi sporchi di terra e di sangue, certe volte mi sogno il postino, mi sembra di sentirlo, mi sembra di sentire le sue poesie nella testa, soprattutto quando il sole inizia a scendere, soprattutto quando il mattino inizia ad accendersi, in quei momenti di mezzo dove il cielo sembra non avere più una fine e il tempo si perde nelle striature biancastre del cielo.

Di tutte le lettere ne ho tenuta solamente una, l’ho messa nella giacca vicino al cuore come se mi potesse proteggere dai proiettili, credo che contenga tutto l'amore dell'universo. La leggo e rileggo ogni notte, a volte ho la sensazione di averla scritta io, a volte ho la sensazione che l'abbia scritta te, che l'abbia data ad Hassan Yusuf da qualche parte del mondo perché la portasse a me, ho la sensazione che le tue labbra l'abbiano baciata prima di consegnarla, certe volte mi sembra di sentirci dentro il tuo profumo, mi sembra di poter vedere i tuoi occhi, il tuo sguardo, il sole che accarezza i tuoi capelli corti mossi dal vento mentre allunghi la mano con dentro tutte le parole che ti sono uscite dal petto, mentre tendi il braccio come se potessi raggiungermi, come se la lettera diventasse un'estensione del tuo corpo, come se fosse un bacio, un'estensione delle tue labbra, del tuo cuore.