Roberto, Palude, revisione



Quando finalmente arrivò alla periferia bussò ancora alla stessa porta e vide ancora lo stesso uomo.

Attese, pagò, e quando entrò nell'antro rosso vide di nuovo la carne, le mutandine da poco rosa che nella luce diventavano rosse, il reggiseno troppo stretto che lasciava segni indelebili nella pelle rosea, le labbra carnose giovani, gli occhi tristi e svuotati ma che nascondevano ancora quella giovinezza, quella piccola luce vitale che più di ogni altra cosa lui desiderava. 
Avrebbe voluto leccarle gli occhi, o succhiarglieli via, succhiare la luce, mangiarsela. 
Avrebbe voluto che lei forse prendesse qualcosa, un pezzo di vetro, una lama e gli tranciasse via la gola, e allora cadendo a terra in tutto il suo peso lui avrebbe guardato i piedi di lei, li avrebbe sfiorati con la punta delle dita o con le labbra, baciandoli, poi lei avrebbe camminato sopra al suo corpo, sul suo torace villoso, sulla pancia gonfia. L’avrebbe calpestato, i piedi di lei morbidi e freddi sulla sua pelle scurita, i piedi di lei nel sangue di lui a impiastricciarsi, a fonderli insieme. Se la immaginò chinarsi, mettergli un dito sulle labbra e dirgli shhhhh, carezzargli i capelli, poggiarselo sopra la cosce indurite, sul femore duro, lasciare il suo dolore, la sua colpa fluire nel sangue come un respiro.